Il Paese fondato sulle pensioni
Attualmente, per vari motivi, ci si trova spesso a parlare di pensioni. Il dibattito è molto acceso, perché? Le pensioni sono un tema molto caro in campagna elettorale. Inoltre, la popolazione italiana è composta maggiormente da persone anziane. A pagarne le spese, è la classe dei giovani che porta sulle spalle un carico notevole. Da cosa deriva tutto questo?
La nascita della previdenza in Italia
Il “primo” istante temporale dal quale possiamo partire per parlare di un sistema previdenziale in Italia è il 1865. In quell’anno, infatti, il Regno d’Italia recepì la legislazione piemontese circa le pensioni a dipendenti pubblici e militari. Solo 30 anni dopo, nel 1898, nacque la Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai. Ad essa potevano iscriversi volontariamente tutti gli operai, con un contributo massimo di 100 lire parzialmente integrato dallo Stato. In questo modo, lo Stato offriva una rendita vitalizia calcolata come capitalizzazione dei contributi versati dall’assicurato che poteva goderne dal 65° anno di età.
Pensioni e seconda guerra mondiale
Il sistema previdenziale in Italia è stato continuamente arricchito, fino a diventare quel che oggi effettivamente è. Insieme a quelle già citate, esistono altre date che sono cruciali per le pensioni italiane. Una di queste è sicuramente il 1935. Tra il 1933 e il 1935 la Cassa nazionale istituita nel 1898 viene riformata: nasce così l’Inps. La Cassa, infatti, viene riorganizzata in quattro sezioni:
- invalidità e vecchiaia;
- disoccupazione;
- tubercolosi;
- maternità.
La data fondamentale, con il nostro sistema di pensioni, è però il 1945. In questo anno, assistiamo a un cambiamento radicale del sistema previdenziale. A seguito dell’inflazione, dovuta al conflitto mondiale, il sistema pensionistico si trasforma da “capitalizzazione” a “ripartizione”. In questo modo, le pensioni vengono adeguate al costo della vita attraverso contributi fissati in percentuale della retribuzione.
Da capitalizzazione a ripartizione
Il 1945 è stato, quindi, un anno fondamentale non solo per l’assetto societario e geo-politico del pianeta ma anche per il sistema previdenziale italiano. Per capire, però, il cambiamento nel calcolo delle pensioni, bisogna prima indagare le differenze tra i due sistemi. Il sistema a capitalizzazione, valido fino al 1945, prevede che i contributi versati oggi dal lavoratore vengano capitalizzati per finanziare le pensioni di domani. Chi percepisce le pensioni domani, è lo stesso soggetto che oggi versa i contributi. Il sistema a ripartizione, invece, prevede un patto intergenerazionale. I contributi versati oggi dal lavoratore vengono utilizzati per finanziare le pensioni di oggi (ossia dei lavoratori di ieri). Praticamente, nel primo caso un padre finanzia la sua stessa pensione versando i contributi; nel secondo, un padre con i suoi contributi finanzia la pensione di suo padre.
Una serie di cambiamenti
Il passaggio al sistema di ripartizione fu necessario. A seguito della seconda guerra mondiale, l’inflazione portò a zero il valore dei contributi già versati dai lavoratori. Con un sistema a capitalizzazione questo avrebbe significato che nessuna pensione sarebbe arrivata ad essi. Il sistema a ripartizione, invece, diede a quei vecchi lavoratori, la possibilità di ottenere una pensione grazie ai contributi dei nuovi e giovani lavoratori. Ma i cambiamenti non finiscono qui. Una ulteriore differenza, diversa da quella appena descritta, è tra sistema contributivo e retributivo. Nel primo caso, le pensioni sono calcolate in rapporto al montante contributivo; nel secondo si tiene contro della retribuzione media rivalutata.
La società e le pensioni oggi
Arrivati a questo punto deve essere chiaro che: il binomio capitalizzazione/ripartizione ha a che fare col finanziamento delle pensioni, il binomio contributivo/ retributivo riguarda il calcolo delle pensioni. Attualmente, vige un sistema contributivo a ripartizione. Ma perché oggi la società è così sensibile sul tema pensioni? La risposta, probabilmente, sta nella cosiddetta “piramide dell’età”. Se guardiamo, infatti, l’evoluzione della popolazione italiana dal 1861 al 2011:
Come possiamo vedere, quella che è stata definita piramide dell’età, col tempo ha cambiato la sua forma. Questo è dovuto al progressivo invecchiamento della popolazione. Si può vedere, infatti, che la parte consistente della popolazione è quella tra i 30 e i 65 anni. I nati, invece, tendono a diminuire.
Pensioni: quota 100 è la soluzione?
In un simile scenario, si può chiaramente vedere perché il patto intergenerazionale che si costituisce necessariamente in virtù dell’attuale sistema pensionistico, pesi sulla popolazione più giovane. Se, infatti, il sistema è a ripartizione, saranno i contributi dei giovani di oggi a finanziare le pensioni della classe anziana di oggi. La nostra società, però, è affetta da molte problematiche tra cui la disoccupazione giovanile. Di conseguenza, è facile intuire perché le pensioni creino forti criticità. Come migliorare il nostro sistema? La quota 100 è attualmente molto discussa. Si tratta di una misura già prevista dalla Fornero ma rivista attualmente dal nuovo governo. Si prevede, infatti, l’uscita anticipata dal mondo del lavoro per coloro i quali “tocchino” quota 100 come somma di età anagrafica e anzianità lavorativa.
Cambiano gli addendi, ma il risultato?
Alla luce di quanto appreso, visto il funzionamento del sistema di pensioni, vista la piramide dell’età, il progressivo invecchiamento e il tasso di disoccupazione giovanile, occuparsi di pensioni ha ancora senso? Se non ci sono interventi sulla classe giovanile su cui ricade il peso delle pensioni oggi, si può pretendere che l’intero sistema non crolli?