Il “peso” del debito pubblico?
Nella maggior parte dei Paesi industrialmente avanzati, le finanze pubbliche versano oggi nelle peggiori condizioni a partire dalla rivoluzione industriale, se escludiamo la parentesi bellica e l’immediato periodo successivo della ricostruzione. La posizione finanziaria dei Paesi ricchi (se si considera il reddito pro capite) si è negli ultimi anni fortemente deteriorata in conseguenza della messa in atto di numerosi “pacchetti” finalizzati a fronteggiare la ben nota crisi finanziaria.
Ciò che si è verificato è stato un massiccio trasferimento di debito dal settore privato a quello pubblico: gli Stati si sono fatti carico del debito delle famiglie e soprattutto delle imprese – in particolare di quelle legate al settore finanziario – attraverso manovre di espansione fiscale (utilizzo di ammortizzatori sociali, finanziamenti agevolati, garanzie sui prestiti). Alcuni Paesi europei stanno inoltre pagando lo scotto di politiche fiscali poco rigorose che si sono protratte negli anni. La Grecia, per esempio, oggetto in questi giorni dell’attenzione dei mercati, non è riuscita a mantenere un percorso virtuoso, complici un forte calo delle entrate fiscali – a causa dell’elevata evasione – e un incremento non controllato della spesa pubblica, oltre che poco trasparenti operazioni contabili volte a mascherare la reale posizione debitoria e di deficit.
In generale, comunque, alla base dell’insostenibilità fiscale sono le politiche fiscali poco virtuose nei periodi di boom economico, i costi diretti della crisi finanziaria, la recessione iniziata nel 2008 che, determinando una forte contrazione del reddito, ha pesantemente ridotto le entrate fiscali.
Ad aggravare un già delicato equilibrio sono stati i mercati finanziari che, al culmine della crisi, hanno messo in scacco i debiti dei Paesi (periferici dell’area euro) maggiormente vulnerabili per l’eccessivo debito pubblico accumulato o per un deficit in forte deterioramento. Il punto cruciale era rappresentato dalla necessità di questi Paesi di dover rifinanziare il debito in scadenza a tassi d’interesse sempre maggiori a causa della speculazione finanziaria. Addirittura la stessa esistenza dell’Euro è stata messa, ed in parte lo è ancora, in discussione.
L’acutizzarsi della crisi nei mercati finanziari ha indotto i Paesi dell’area euro, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale a intervenire su più fronti attraverso la creazione di un sistema di protezione volto a scongiurare il ripetersi di tali fenomeni acuti di instabilità finanziaria. Soprattutto il sistema bancario, meccanismo di trasmissione della politica monetaria, è stato oggetto di particolare attenzione in particolare con un meccanismo unico di vigilanza ormai operativo a partire dal novembre 2014 a cui si aggiungerà un meccanismo unico di risoluzione per gestire le banche in difficoltà a partire da gennaio 2016.
Il rischio è che il suddetto trasferimento di debito verso il settore pubblico potrebbe tornare indietro al settore privato attraverso maggiori imposte future, spesa pubblica più bassa e rischio di monetizzazione del debito sovrano. La prossima sfida sarà proprio quella di scongiurare una simile eventualità: i governi e le autorità europee sembra abbiano compreso che politiche di austerità troppo stringenti e fini a se stesse non conducono da nessuna parte. Ciò che serve è un comune sforzo verso politiche a favore della crescita e del rilancio degli investimenti, anche attraverso il supporto del settore pubblico, sempre però nel sentiero del controllo della spesa pubblica improduttiva.
A cura del dott. Valentino Bidone
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