La complicata quotazione di Saudi Aramco
L’11 Novembre ha fatto il suo esordio sul mercato finanziario il gigante saudita del petrolio, ossia la compagnia Saudi Aramco. Con la più grande offerta pubblica (IPO) della storia, l’azienda rappresenta una delle migliori scommesse del momento, ma i rischi legati alla possibile esplosione della bolla dei corporate bond ne compromettono la sicurezza.
Aramco e la storica quotazione in borsa
Aramco nasce nel lontano 1933 come Arabian American Oil Company, risultato di un accordo tra l’Arabia Saudita e la Standard Oil (quella di Rockefeller) per la ricerca e l’estrazione del greggio in territorio saudita. Nonostante gli inizi non propriamente brillanti, l’azienda nel 1974 viene completamente acquistata dal governo saudita, che pone al comando dell’azienda Ali bin Ibrahim Al-Naimi, che nel 1988 la battezza Saudi Arabian Oil Company (Saudi Aramco). Negli ultimi anni, il principe ereditario Mohammad bin Salman Al Sa’un ha avviato un piano per rendere l’economia del paese arabo meno legato al settore petrolifero e più simile all’economia occidentale. In tale ottica si inserisce la quotazione di Saudi Aramco, anche se inizialmente solo sulla borsa saudita (Tadawul).
La più grande offerta pubblica di sempre
Quindi arriviamo all’11 Novembre, quando finalmente viene presentata l’offerta pubblica (IPO) per Saudi Aramco, pari a 25.6 miliardi di dollari, superando quindi quella di Alibaba, che si presentò con un IPO da 25 miliardi di dollari. Nella sola giornata dell’11, il valore delle azioni ha segnato un +10%, raggiungendo il prezzo totale di 8.47€ e una capitalizzazione totale di 1880 miliardi di dollari, che la rendono la società con la più alta capitalizzazione al mondo. Non si risparmiano però alcuni dubbi sull’operazione che ha portato Saudi Aramco alla ribalta sui mercati finanziari. In primis la scelta di quotare l’azienda solo sulla borsa di Riyadh, escludendo quindi le principali borse mondiali, ridimensiona notevolmente i risultati ottenuti durante la prima seduta e va in contrasto con il desiderio di avvicinare il paese alle potenza occidentali da cui prende ispirazione. In secundis il limitato interesse degli investitori esteri, che hanno rappresentato solo il 10.5% della domanda complessiva. Il rischio più alto non è solo economico, ma soprattutto politico. Il destino di Saudi Aramco è fortemente legato alle scelte del governo saudita e, laddove queste si rivelassero sbagliate o differenti dalle volontà degli investitori, l’impatto creerebbe un effetto domino di proporzioni non indifferenti. Ciò pone l’attenzione sugli effetti delle quotazioni di aziende di paesi caratterizzati da una economie capitaliste di Stato, come sono Arabia Saudita e Cina.
“Un eccessivo accumularsi di incertezze”
Abbiamo precedentemente elencato alcuni dei dubbi legati all’acquisto di azioni Saudi Aramco, sia da un punto di vista economico che politico. Ho voluto citare a parte quello che potrebbe rivelarsi il problema più pericoloso in assoluto. Escludendo il mancato raggiungimento dei principali obiettivi iniziali posti nelle prime fasi dell’operazione, come raggiungere 2000 miliardi di capitalizzazione, nelle giornate successive la SAMA (autorità monetaria saudita) ha raddoppiato il controvalore economico messo a disposizione per finanziare gli investimenti in Saudi Aramco. Oltre alla diretta partecipazione statale (molto poco apprezzata), forzare l’acquisto di azioni genererà nel futuro più prossimo una concentrazione eccessiva nel mercato del debito corporate, dato che la maggioranza degli investitori ha vincoli statutari che limitano la detenzione del titolo. Un downgrades del titolo ne limiterà quindi le opportunità di acquisto, comportando una decrescita dei prezzi, con relativa perdita per gli investitori. Limitare l’effetto appena descritto è pressappoco impossibile, data la condizione di over-leverage che Saudi Aramco ha in questo momento. Investire o non investire? Questo è il dilemma.