L’Argentina torna ancora una volta a guardare negli occhi la crisi.
La banca centrale argentina ha stordito i mercati alzando il tasso di interesse chiave al 40%, con una mossa che ha stimolato il peso ormai malconcio, anche rispetto alle altre valute dei mercati emergenti.
Il peso è aumentato di oltre il 5% da un massimo di 21,238 rispetto al dollaro dopo il terzo aumento del tasso in una settimana, prima di terminare con il 2,3%.
La valuta, che dall’inizio dell’anno ha perso quasi il 15 % rispetto al dollaro, ha toccato il minimo storico di 22,25 per ogni dollaro dopo che i tassi di finanziamento sono stati aumentati di 300 punti base.
Questa turbolenza è il primo serio test di mercato per il riformista Mauricio Macri da quando è salito al potere due anni e mezzo fa, promettendo agli elettori che avrebbe reso l’Argentina “un paese normale” – un impegno applaudito dagli investitori e dalla maggior parte degli argentini.
Nonostante il lancio di un programma di riforme economiche, che ha cercato di rimuovere le distorsioni economiche lasciate da oltre un decennio di governo di sinistra e politiche economiche eterodosse sotto i presidenti Nestor e Cristina Kirchner, Macri gode ancora del gradimento di circa il 50% degli elettori. I Kirchner sono saliti al potere nel 2003 dopo la massiccia svalutazione dell’Argentina e il default del debito per 100 miliardi di dollari.
La settimana scorsa, il tasso ufficiale di indebitamento dell’Argentina è balzato dal 27,25% al 40%, poiché la banca centrale ha cercato di sostenere il peso argentino, avendo già speso $ 5 miliardi in riserve valutarie.
Nei giorni scorsi Nicolas Dujovne, ministro del tesoro argentino, ha dichiarato che perfezionerà l’obiettivo di ridurre il deficit fiscale primario per il 2018 dal 3,2% del prodotto interno lordo al 2,7%.
“La convergenza verso l’equilibrio fiscale non è negoziabile”, ha detto, impegnandosi a non piegarsi alle “pressioni populiste” nella corsa del governo per ridurre il deficit fiscale argentino, che finanzia con il debito estero. Tagliare l’obiettivo significa che il governo dovrà prendere in prestito $ 3 miliardi in meno quest’anno, ha aggiunto.
Tra le valute dei mercati emergenti che sono sottoposte a forti pressioni di vendita e fuga di capitali verso i maggiori tassi di interesse statunitensi e un dollaro in aumento la moneta Argentina è sicuramente quella messa peggio. L’obbligazione statale a 100 anni è scesa di circa 85 centesimi sul dollaro prima di rimbalzare a 87 dopo l’apertura dei mercati.
Il bond ha iniziato l’anno ad un prezzo di circa 100.
L’Argentina rischia così una nuova spirale, con il crollo del peso – una discesa sconcertante senza segni di discontinuità dal 2001 ad oggi – che alimenta a sua volta l’inflazione. C’entrano molto i grandi flussi finanziari globali. Dopo gli anni del gigantesco ‘carry trade‘ con cui gli investitori prendevano in prestito gratis in dollaro e investivano in valuta emergente, ora una marea di denaro fa dietro front, attratta dai tassi in rialzo sul dollaro, che peraltro stanno ‘contagiando’ i tassi dei paesi emergenti. E le principali banche centrali cominciano a riassorbire la liquidità record globale del decennio passato.