Home » Economia » Politica » L’Italia è in recessione tecnica

L’Ufficio parlamentare di Bilancio (UpB) ha pubblicato il rapporto sulla politica di Bilancio per l’Italia, anticipando di qualche giorno quello che sarà poi dell’Istat. Il quadro generale non è ovviamente dei migliori ma questo lo sapevamo già. Ciò che invece è sempre di più sulla bocca di tutti è la parola “recessione“, ancora meglio se accompagnato da un “tecnica“, per rendere l’insieme una commistione amara, fredda, lontana dalla comprensione comune ma che da l’idea di qualcosa di bruttissimo. C’è poi quel “tecnica” che non lascia scampo. Un po’ come se, durante un incontro di Boxe, venisse dichiarato KO tecnico. Dunque facciamo chiarezza.

Che cosa vuol dire “Recessione tecnica”?

Prima di parlare di recessione tecnica, cosa si intende per “recessione”? Alcuni pensano che sia un lemma per identificare un momento economico in cui il PIL cresce a tassi negativi. Vi piace la locuzione? Vuol dire semplicemente che decresce. Nulla di più. Questo accade quando la recessione tecnica è già in atto. Difatti per recessione si intende una situazione particolare per cui si verifica un rallentamento generale della produzione, per l’appunto a tassi negativi.

Detto meglio, il PIL cresce meno nel susseguirsi dei periodi. Attenzione bene. Ciò non vuol dire che se la Cina passa dal 7% di tasso di crescita al 6% si trovi in recessione. I tassi devono comunque negativi. In questo caso si può essere anche in stagnazione, un periodo economico in cui la produzione è praticamente ferma e non innova (PIL -0,5 nel Q3 3 -0,6 nel Q4, ad esempio).

Adesso possiamo puntare al mix letale. Che cosa si intende per “recessione tecnica”? In questo caso si osservano i valori di crescita del PIL negli ultimi due trimestri. Se questi due valori saranno in decrescita uno peggio dell’altro, si parla di recessione tecnica. E ciò fa molta paura.

Il ministro dell’Economia Giovanni Tria – lapresse

Perché la recessione tecnica spaventa?

Essere in recessione tecnica incute timore perché, dato il suo funzionamento, è l’inizio di qualcosa di brutto. Analizziamo ora le parole del Rapporto pubblicato sull’Ufficio Parlamentare di Bilancio.

Nel 2018 la fase espansiva dell’economia italiana si è nettamente indebolita,
arrestandosi nella seconda metà dell’anno

E questo è solo l’inizio. Non male, ricorda molto gli inizi dei Poemi epici del Liceo, in medias res. Tralasciando alcune parti, quello che segue si può considerare una specie di attacco alle stime che sono state fatte negli ultimi tempi.

In ottobre il Governo ha presentato una previsione programmatica di crescita del PIL
dell’Italia all’1,2 per cento nel 2018 e all’1,5 nel 2019 e nella media del biennio successivo.
L’UPB non ha validato tali stime, rilevandone l’eccessivo ottimismo sia sulle variabili reali
(in particolare sugli investimenti) sia, e soprattutto, sulle dinamiche nominali che più
impattano sugli equilibri della finanza pubblica; la decisione era ampiamente corroborata
dalle valutazioni sulle tendenze congiunturali, che già in autunno si stavano rapidamente
deteriorando. Venivano inoltre sottolineati diversi rischi al ribasso, di matrice
prevalentemente esterna, ma con forti impatti per il nostro Paese.

L’UpB è un ufficio importantissimo istituito per legge che deve obbligatoriamente rivedere la politica di bilancio del governo anche e soprattutto per questi motivi. Ah, una cosa mi sono dimenticato di dirvi. L’Ufficio Parlamentare per il Bilancio è un organismo indipendente. Non risponde al governo ma è un servizio puro che viene offerto ai cittadini. Il problema è che, essendo accessibile a tutti, anche gli investitori possono accedervi. Mettetevi ora nei panni di un investitore che legge queste cose. Beh. Almeno non siamo come il Giappone. O forse no?

Ma ecco il tocco finale

In dicembre il Governo ha rivisto le stime macroeconomiche, riducendo la crescita
attesa del PIL reale (all’1,0 per cento sia per il 2018 sia per il 2019) e nominale. L’UPB ha
svolto un esercizio di valutazione rapido, nel quale la previsione di crescita del PIL nel
2019 (0,8 per cento) risultava inferiore a quella del MEF, ma in virtù dell’allineamento
sulla dinamica del PIL nominale (al 2,3 per cento) il quadro del MEF è stato considerato
plausibile. Sono stati tuttavia segnalati i rilevanti rischi al ribasso, soprattutto per il
prossimo biennio. I dati congiunturali rilasciati successivamente hanno accresciuto i
fattori di rischio, anche nel breve termine.

Ed eccoci qui. In questa frase sta l’essenza della recessione tecnica. Attenderemo ora il verdetto dell’Istat.