Teoria Economica

Tra liberismo e Keynes: un approccio comparato

Articolo di Alessandro Nardò

Alla luce della recente crisi finanziaria e del modo in cui è stata gestita dall’Europa la crisi greca, il nome di Keynes e delle sue teorie sta tornando di grande attualità nei dibattiti tra gli economisti. L’evidenza empirica mostra, allo stato attuale, l’inefficienza del liberismo economico, delle politiche di austerità e del laissez-faire. Di seguito verranno esposte le basi dei due pensieri economici.

Dall’introduzione al nocciolo

Dopo aver visto nel precedente articolo in linea teorica generale i punti chiavi su cui poggiano il liberismo e la teoria keynesiana ora si può passare all’approccio comparato.

Teoria Generale dell’Occupazione, dell’Interesse e della Moneta

Nel 1936 Keynes pubblica la sua opera più famosa intitolata “Teoria Generale dell’Occupazione , dell’Interesse e della Moneta” con cui vuole dimostrare che non esiste una tendenza automatica all’equilibrio di piena occupazione ragion per cui, egli nega ad esempio, l’esistenza della mano invisibile di Adam Smith. Dunque, per Keynes lo Stato deve intervenire a sostegno dell’economia per assicurare
l’equilibrio di mercato.
Alla base della Teoria Generale sono posti tre principi fondamentali:
1) la domanda effettiva;
2) il moltiplicatore del PIL;
3) la teoria della preferenza per la liquidità.

Il principio della domanda effettiva e il moltiplicatore

Il principio della domanda effettiva viene analizzato da Keynes, esaminando il comportamento dell’imprenditore.
Egli assumerà lavoratori fin quando le entrate conseguite saranno in grado di coprire i costi di produzione sostenuti. Per questa ragione, Keynes nega da un lato la tesi appoggiata dai sostenitori della teoria tradizionale secondo cui l’incontro tra la domanda e l’offerta di mercato determina l’equilibrio ottimale e dall’altro lato, nega il principio secondo cui in un periodo di disoccupazione, la discesa dei salari invoglia gli stessi imprenditori ad assumere più lavoratori.
Al contrario, Keynes crede che la discesa dei salari incentiva gli imprenditori ad assumere meno lavoratori data la condizione di incertezza del mercato. Il principio del moltiplicatore del PIL è considerato da molti come il cuore e la base della teoria keynesiana.
In economia aperta, dove sono ammesse le
esportazioni, il PIL (Prodotto Interno Lordo o domanda aggregata AD) è dato dalla seguente equazione:

Y=C+I+G+NX

dove C indica i consumi di famiglie e imprese,
I indica gli investimenti privati,
G indica la spesa statale e gli investimenti pubblici,
NX indica le esportazioni nette (esportazioni meno importazioni).

Fatta tale premessa, alla base del moltiplicatore del PIL è posta la seguente formula matematica:

(1/ 1-C y ) * (C+I+G-C y T)

dove:
Cy indica la propensione marginale al consumo
CyT indica il consumo al netto delle imposte.

Del moltiplicatore abbiamo già discusso abbondantemente quindi rimando a quell’articolo.

La preferenza per la liquidità

Il principio della preferenza per la liquidità indica la capacità di un soggetto di scegliere, in base alle condizioni del mercato, se tenere moneta sotto forma di liquidità o al contrario, se detenere la propria ricchezza utilizzando forme diverse rispetto al denaro liquido: ad esempio tramite l’acquisto di obbligazioni o
altri titoli di stato. L’individuo è incentivato a detenere più liquidità soprattutto in condizioni di incertezza del mercato, dove il prezzo dei titoli diminuisce e il tasso d’interesse aumenta motivo per cui, l’individuo venderà i suoi titoli ricevendo in cambio denaro liquido. Dunque, per Keynes il tasso d’interesse dipende dalle aspettative dell’individuo e dall’incertezza dei mercati e non dall’incontro tra
la domanda e l’offerta di fondi a prestito, come credevano, al contrario, i sostenitori della teoria mainstream.
Se il tasso d’interesse non è la componente economica che porta in equilibrio la domanda e l’offerta, l’unica grandezza economica in grado di riuscirci è il reddito nazionale.

L’assenza dello Stato come causa della crisi finanziaria: la deregolamentazione
finanziaria

Dopo la Grande Depressione degli anni ’30 del secolo scorso, grazie all’applicazione delle teorie keynesiane, l’economia statunitense ha conosciuto un periodo di espansione economica. Oltre all’applicazione delle teorie economiche enunciate da Keynes, la forte presenza dello Stato nel regolamentare il sistema finanziario, ha consentito all’economia di crescere e di prosperare nel tempo.
In questo periodo, infatti, le banche appartenevano al demanio pubblico ed era inoltre proibito agli intermediari finanziari di speculare con i risparmi dei clienti. Era posta una netta distinzione tra la banca pubblica e la banca d’investimento. La prima si occupava delle operazioni tipiche come ad esempio la concessione di mutui mentre la seconda si occupava al contrario delle operazioni d’investimento in titoli obbligazionari e azionari. La legge dava la possibilità alle banche
d’investimento di assumere la forma di società ma di piccole dimensioni.
Questo provvedimento è noto come Glass-Steagall Act.

Separazione tra banche commerciali e banche di investimento

Negli anni successivi, la deregolamentazione finanziaria ha portato all’immissione nel sistema finanziario di nuovi strumenti e prodotti finanziari: i derivati 16 . Con tale termine, si intende una tipologia di strumento o contratto finanziario il cui valore nel tempo deriva dall’andamento di un’altra attività sottostante o dal verificarsi di un evento oggettivamente osservabile.
Tra le varie tipologia di contratti derivati troviamo i Credit Default Swap (CDS) ovvero strumenti finanziari che consentono ai sottoscrittori, a fronte di un pagamento alla controparte, di proteggersi dal rischio che il titolo non
venga rimborsato a scadenza.

Conclusioni

Keynes ha mostrato, a suo tempo, l’inefficienza di tali politiche e la necessità di avere uno Stato più presente all’interno del sistema economico.
In Europa,alcontrario, si è scelto volontariamente di seguire la strada opposta. La risposta dei partner europei alla recente crisi finanziaria è stata quella di adottare politiche di austerity e di rigore economico basate su tagli alla spesa pubblica ed equilibrio di bilancio. Nel 2012, infatti, i Paesi aderenti all’Unione Europea hanno
adottato un provvedimento che prende il nome di Fiscal Compact.
Tale provvedimento legislativo si basa su due principi fondamentali ovvero:

1)l’obbligo del pareggio di bilancio che impone ai singoli Paesi europei, il divieto di spendere più dello 0,5% delle entrate effettivamente conseguite. Inoltre, è stato imposto ai singoli Paesi, di inserire tale previsione nei rispettivi ordinamenti nazionali. Nel caso dell’Italia, nel 2012 il Governo Monti attraverso una legge di revisione costituzionale ha modificato l’articolo 81 della Costituzione della Repubblica Italiana 23 ;
2) l’obbligo di riduzione del debito pubblico in misura pari a un ventesimo l’anno ottenuto come differenza tra il livello effettivo del debito e il 60% del PIL.

Jean-Claude Juncker è un politico e avvocato lussemburghese, presidente della Commissione europea dal 1º novembre 2014.

Un tale approccio pone un freno agli investimenti e destina minori risorse finanziarie alla sanità, alla pubblica istruzione, all’Università, alla ricerca e a qualunque altro settore che in un modo o nell’altro, concorre allo sviluppo e alla crescita economica di una nazione.
Alcuni effetti si sono visti in Grecia infatti lo stesso Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ha dichiarato che le azioni adottate nei confronti dello stato greco negli anni passati sono state piuttosto avventate.

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Redazione