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L’accordo sulle autostrade rende l’Italia ancora più sudamericana

La famiglia Benetton, dopo un lungo negoziato durato sei ore, cede alle condizioni imposte dal governo e da Conte sull’accordo su Autostrade per l’Italia. Un altro grande passo verso il baratro per il nostro Paese e un altro grande costo per i contribuenti italiani.

Il governo non aspetta le sentenze

Il precedente governo lo aveva detto e quello attuale pare avere tutta l’intenzione di mettere in pratica la frase “non possiamo aspettare le sentenze”.
La gravità del gesto non deve passare inosservata. Prima ancora che la magistratura accerti le eventuali responsabilità di ASPI e della famiglia Benetton si è deciso di agire come solo i peggiori governi al mondo fanno.

La suddivisione dei poteri è un principio cardine per le democrazie e se il potere esecutivo, dopo essersi impossessato del potere legislativo, prendesse l’abitudine di sostituirsi al potere giudiziario si avrebbe una perdita enorme di libertà individuale.

Violata anche la libera concorrenza

Bisogna sottolineare anche che con l’ingresso della cassa, depositi e prestiti (CDP) in ASPI la concorrenza subisce un’altra dura botta per 2 ragioni:

  1. La concessione autostradale non verrà messa a gara in modo da far ottenere la concessione all’impresa più efficiente ma si è deciso di rinnovarla con l’ingresso dello stato nella società;
  2. ASPI è una rivale di ANAS (già impresa controllata dallo stato) quindi lo stato oltre ad avere il ruolo di regolatore, di controllore avrà anche un ruolo ancora più marcato come giocatore nel mercato del trasporto su strada annullando di fatto l’ultimo briciolo di concorrenza nel settore.

La “trattativa”

Ora si potrebbe dire che c’è stata una trattativa e in base alla trattativa i Benetton hanno deciso di rinunciare a gran parte delle proprie quote ma è abbastanza improprio parlare di vera trattativa poiché sul piatto c’era la revoca della concessione (prima della sentenza) che avrebbe di fatto significato fallimento.
Una trattativa portata avanti con la pistola sul tavolo non può essere definita tale.

Perchè la mancanza di concorrenza è un danno?

La mancanza di concorrenza è un enorme danno per un paese perché porta alla riduzione della produttività e di conseguenza alla riduzione del welfare sociale. Perché?
Semplicemente perché non avendo timore di perdere la clientela l’azienda non avrà bisogno di essere più produttiva poiché potrà scaricare tutte le inefficienze sui prezzi rendendo la vita molto più complicata ai consumatori che non hanno alternative.

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Nel grafico realizzato dall’IMF è possibile vedere subito cosa succede alla produttività di quei settori che sono esposti alla concorrenza (tradable) e quelli che non sono esposti alla concorrenza (non tradable).
I primi nonostante la durissima botta della crisi finanziaria sono riusciti a riprendersi mentre i secondi hanno avuto una continua riduzione (linea rossa tratteggiata).

I monopoli naturali sono un’eccezione?

Mentre la concorrenza risulta immediatamente applicabile alla produzione di beni è vero che sulle infrastrutture pare esserci un’oggettiva difficoltà banalizzata dalla frase “non si possono avere 10 infrastrutture diverse per il servizio”.

Proprio per questo motivo nei monopoli naturali la concorrenza si effettua tramite gare internazionali con dei parametri su quote di investimento e prezzi. Fondamentale per questo tipo di concorrenza è la qualità del bando di gara e la non prorogabilità automatica.

I costi per il contribuente

Ora la domanda a cui bisognerà rispondere è “quali sono i costi per il contribuente italiano?”

Nel rispondere a questa domanda bisognerà considerare il costo per l’acquisto delle azioni di Atliantia previsto dall‘accordo ma, oltre a questo costo diretto, bisognerà considerare anche il costo indiretto dovuto alla riduzione della concorrenza e alla eventuale (probabile ma non certa) riduzione di efficienza nella nuova gestione.