Asset management

FANG, FAANG & FAAMG: come le Hi-tech statunitensi hanno monopolizzato gli indici di mercato cap-weighted

Articolo di Alessandro Furlan

FANG, FAANG & FAAMG: a cosa si riferiscono queste abbreviazioni?
Qualche nuovo slang affermatosi tra i Millennial o la generazione Z? Un nuovo tipo di droga? Un medicinale appena approvato dalla FDA americana? Niente di più vicino!

La spiegazione degli acronimi

Partiamo con l’ultima, FAAMG, ossia Facebook, Amazon, Apple, Microsoft e Google (Alphabet); si tratta semplicemente di un acronimo, ideato da Goldman Sachs, che indica le 5 azioni tecnologiche americane più performanti e dominanti nei rispettivi mercati.

Tale abbreviazione, così come FAANG (Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google), altro non è che una variante dell’originale acronimo FANG (Facebook, Amazon, Netflix, Google), coniato nel 2013 dal presentatore televisivo americano Jim Cramer (Host di Mad Money della CNBC).

Le imprese d’oro

La sempre più crescente importanza che tali aziende hanno riscosso negli ultimi anni nella società e nel mercato finanziario risiede, oltre che nei servizi che forniscono a miliardi di utenti nel mondo unitamente alle loro performance stellari, anche nella loro dimensione, la capitalizzazione di mercato (quest’ultima che si ottiene dalla moltiplicazione del prezzo delle azioni e il numero di azioni circolanti), che ha raggiunto e superato, per alcuni di esse, il bilione di Dollari, ossia mille miliardi (Apple, Amazon, Microsoft e Alphabet).

Oro per alcuni, problemi per altri

Se da un lato, questa crescita esponenziale ha indubbiamente favorito i fortunati investitori negli ultimi 10-20 anni, dall’altra ha creato dei problemi ai portfolio managers e, più specificatamente, a tutte quelle strategie di investimento passive che replicano l’andamento di uno o più indici di borsa cosiddetti “cap-weighted, come il noto indice americano S&P 500, universalmente considerato l’indice borsistico per eccellenza che rappresenta l’andamento dell’economia Americana, o il Nasdaq Composite, dove il peso (weight) di ogni azienda, all’interno di tali indici, dipende dalla sua capitalizzazione.

Infatti, sebbene lo S&P 500, che racchiude le aziende statunitensi con maggior capitalizzazione, sia composto da oltre 500 voci, è ormai da diversi anni fortemente concentrato in questi titoli tecnologici, che, nonostante rappresentino l’1% di tutte le voci dell’indice, hanno un peso (weight) di oltre il 20%, alla data del 23 luglio 2020.

Fonte: dati ufficiali S&P 500, 23 luglio 2020; mia rielaborazione grafica

Simile discorso per il Nasdaq, che, per fare un esempio, chiuse in calo del 2% nella seduta del 09 giugno del 2017, dovuta solamente alle movimentazioni dei FAAMG, 5 aziende su un totale di 2500. Va da sé che le performance di questi titoli possono influenzare fortemente l’andamento dell’intero indice, andando così a indebolire uno dei principi capisaldi della finanza: la diversificazione.

La gestione passiva può essere sbagliata?

Di conseguenza, una strategia passiva che replichi un indice di mercato cap-weighted (il famoso portafoglio di mercato efficiente), e quindi si spera abbia un profilo di rischio inferiore ad una attiva, può invece, paradossalmente, rivelarsi una strategia cosiddetta inefficiente, in quanto esposta ai movimenti di pochi titoli, ossia basata su un portafoglio titoli troppo concentrato, non adeguatamente diversificato.

Banalmente, una strategia che si basa su un Equally weighted portfolio, un portafoglio con eguali pesi per ogni titolo, la cosiddetta diversificazione Naive, si è dimostrata, da studi empirici (Platen, E. and Rendek, R., 2012, “Simulation of Diversified Portfolios in a Continuous Financial Market”, In: Stochastic Analysis and Applications to Finance: Essays in Honour of Jia-an Yan, 385-410), migliore, in termini di risk-adjusted performance (indici che misurano sia il rendimento che il rischio di una strategia), di una strategia cap-weighted, a testimonianza del fatto che gli indici cap-weighted tendono a sovrappesare i pochi titoli con maggior capitalizzazione.

Il caso Nokia

Un esempio classico è rappresentato dal Caso Nokia, azienda finlandese un tempo leader della produzione di telefoni cellulari; Nokia è stata a lungo una azienda tech di dimensioni notevoli, con capitalizzazione maggiore di quasi la metà dell’intero listino finlandese; di conseguenza, un investitore che avesse investito in un fondo che replicava l’andamento del listino, una strategia quindi passiva, sperando di investire in un portafoglio diversificato, altro non faceva che investire gran parte del capitale in un solo titolo, “mettendo quasi tutte le uova in un solo paniere”, come si suol dire. Ora, noi tutti sappiamo il triste epilogo di Nokia, che non ha saputo cogliere l’innovazione portata dagli smartphone; ma in generale, qualsiasi strategia che si basi su un portafoglio concentrato, non diversifica il rischio specifico, ossia il rischio di una specifica azienda.

Possibili soluzioni

Una soluzione? Utilizzare come benchmark, per strategie di replicazione/passive, gli indici cosiddetti smart-weighted, che tengono conto, oltre che della capitalizzazione di mercato, anche di altri fattori (value, momentum, volatilità, etc), e che introducono differenti weighting schemes (equally-weighted, efficient minimum variance, risk parity, ed altri), riducendo quindi il problema della concentrazione e migliorando sensibilmente le risk-adjusted performance. Ma questo lo scopriremo nel prossimo articolo; nel frattempo sarà interessante vedere come si comporteranno tali titoli tecnologici nel medio-lungo periodo che, a detta di molti esperti del settore, potrebbero rinforzarsi ulteriormente, anche a causa della situazione attuale determinata dal Covid-19 e della trasformazione digitale della società, e divenire ancor di più, non che non lo siano già, centrali nell’economia americana e globale.

Fonti:

https://www.ft.com/content/45618282-d886-11df-8e05-00144feabdc0

https://www.slickcharts.com/sp500

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Redazione