Articolo di Simone Lolli Passalacqua
Saudi Aramco: l’intuizione di Rockfeller sulla raffinazione e vendita del petrolio non ha deluso le aspettative.
L’imprenditore John Rockefeller fondò la Standard Oil, che dominò il mercato per più di 50 anni, schiacciando e comprando la concorrenza. Questo portò nel tempo ad una reazione pubblica ed alla nascita del primo movimento AntiTrust americano, con il conseguente smembramento del monopolio, nel 1911. Dallo smembramento della Standard Oil nacquero Socal, Mobil ed Exxon. Il Texas inoltre, essendo riuscito a difendersi dai tentativi di conquista di Rockefeller, possedeva altre due compagnie, Gulf Oil e Texaco. Sull’altra sponda dell’oceano c’erano la BP (British Petroleum), e l’anglo-olandese Royal Dutch Shell.In tal modo nacque il cartello delle 7 Sorelle, chiamate così da Enrico Mattei, fondatore di ENI.
Durante il primo conflitto mondiale le nazioni partecipi si resero conto dell’importanza strategica ed economica del petrolio. In aggiunta a questo, il crollo dell’impero ottomano e la diffusione in medio-oriente delle zone di influenza francesi ed inglesi, offrirono alle 7 sorelle la grande opportunità di accedere in questa zona del pianeta, dando inizio alla corsa al petrolio orientale. Cinque delle sette sorelle si spartirono Iran ed Iraq e firmarono un accordo, chiamato “Red Line Agreement”, che non permetteva loro di estrarre nei rimanenti paesi dell’ex impero ottomano, tra cui l’Arabia Saudita.
“it was a billion dollar error”
L’Arabia concesse alle due sorelle escluse, Socal e Texaco, i suoi territori, permettendo così la nascita di “Arabian American Oil Company”, ARAMCO, con il controllo sulla più grande riserva di petrolio al mondo. Negli anni 60, il mercato, con la scoperta di nuovi giacimenti e la presenza di nuove compagnie indipendenti (tra le quali spiccava l’ENI con Enrico Mattei), cominciò a soffrire una sovra-produzione ed il prezzo iniziò a risentirne.
I paesi produttori ebbero così l’idea di fondare un cartello di nazioni per controllare il prezzo del petrolio, tagliando fuori le sorelle. Nacque l’OPEC, di cui facevano parte inizialmente IRAN, IRAQ, QUWAIT, VENEZUELA ed ARABIA SAUDITA. Questo evento fu il primo di una serie che portò al crollo del monopolio delle 7 sorelle nel 1973, con la guerra di Yom Kippur, tra Israele ed il mondo arabo. In questo conflitto gli Stati Uniti si schierarono con Israele, sottovalutando il fatto che alla guida dell’OPEC si trovava l’Arabia Saudita, che in risposta attuò un embargo di petrolio ai paesi che sostenevano il nemico. Il petrolio toccò così i massimi storici, salendo del 400% e generando una recessione globale. Inoltre, l’Arabia Saudita portò a termine il processo di nazionalizzazione di ARAMCO, facendo terminare definitivamente il controllo americano, nacque così SAUDI ARAMCO.
Per oltre 30 anni, Saudi Aramco riempì le casse del regno Saudita. Nel 2016 però, il principe saudita si accorse che l’era d’oro (2008-2013), con il petrolio sempre al di sopra dei 100 $/barile, sembrava finita. La transazione energetica nel mondo era iniziata e risultava urgente ridurre la dipendenza del suo paese dal petrolio.Nell’aprile 2016, il principe annunciò Vision 2030, il programma delle ambizioni dell’Arabia Saudita, in cui si dava priorità allo sviluppo dei settori “dell’energia rinnovabile”, “manifatturiero”, “turismo e scuole”.Per ottenere i soldi necessari, il principe pensò di vendere parte di Saudi Aramco al mercato internazionale e di investire il ricavato negli altri settori.Dunque, l’IPO sarebbe stato il primo passo per diversificare l’economia del paese.
IPO è l’acronimo “chiave”: il principe saudita voleva l’IPO in tempi brevi e sosteneva che la società vantasse un valore stimato di 2 triliardi $ (un valore pari al doppio di Apple, equivalente a 30 ENI messe insieme). Quotandone il 5% sulle borse avrebbe ottenuto 100 miliardi di dollari. Per raggiungere tale obiettivo, il principe pensò ad una doppia quotazione, una sulla borsa saudita “Tadawul”, ed una su un’altra piazza finanziaria internazionale. Si sparse la voce e le borse di tutto il mondo iniziarono a litigarsi la quotazione, infatti si trattava della più grande quotazione della storia, tanto quanto 4 volte quella di AliBaba.
Saudi Aramco però aveva un grosso problema, era interamente in mano al governo saudita e, avendo una compagnia privata molti meno doveri di una compagnia pubblica, non pubblicò un bilancio per decenni. Si trattava quindi un’enorme Black Box, della quale non si sapeva quanto guadagnasse veramente. Per convincere i suoi compratori del suo valore, la compagnia avrebbe dovuto mostrare in maniera trasparente i profitti, quanti erano e da dove venivano, mostrando anche i costi e le riserve di greggio a disposizione. Così nell’aprile 2019, Saudi Aramco pubblicò i suoi primi bilanci superlativi.
Risultato Operativo lordo di 224 miliardi (più del pil della Grecia) ed una media di 10,3 milioni di barili estratti al giorno. Gli analisti delle piazze finanziarie di tutto il mondo si misero subito a cercare i punti deboli del gigante saudita. I profitti risultavano elevati, ma anche sensibilissimi al prezzo del greggio. Inoltre, come tipico nell’analisi finanziaria, comparandola alle altre imprese del settore (IP, SHELL, Exonn, Mobil), queste ultime risultavano molto più piccole ma anche molto più profittevoli.Infatti, Saudi Aramco era (ed è) costretta a versare molto del suo guadagno in Royalties, Tasse e Dividendi allo stato Saudita.
A settembre S.Aramco si armò delle migliori Investment Banks, tra cui Bank of America, City Group, Morgan Stanley, JP Morgan, e Goldman Sachs, per un totale di 28 banche, per farsi guidare verso la quotazione.Pochi giorni dopo però avvenne un altro fatto imprevisto: il 14 settembre l’IRAN scagliò dei missili sulle raffinerie di Aramco, mandando in stallo la produzione giornaliera di quasi 6 milioni di barili. Aramco organizzò immediate riparazioni, ma non bastò e gli analisti cominciarono a mettere in guardia gli investitori sulla fragilità del colosso da più di un triliardo, causando il crollo della valutazione da parte di diverse banche. Il principe decise di tentare il tutto per tutto, muovendosi verso la quotazione, dato che più il tempo passava e più i rischi individuati dagli analisti potevano concretizzarsi. Così il 9 novembre, Aramco pubblicò il proprio prospetto informativo, dando formalmente il via al processo di quotazione, ma lasciando delusi gli analisti. Infatti, non vi è nessuna indicazione sul prezzo e ci sono 3 rischi allarmanti:
Il giorno prima dell’apertura del “Road Show” internazionale non vi era ancora nessuna indicazione sul prezzo. Gli investment banker si riunirono a Riad, per il meeting finale con i dirigenti sauditi. Poche ore dopo il meeting, la casa reale fissò il prezzo fra i 1.660 ed i 1.700 miliardi di dollari, 300 miliardi di dollari in meno delle aspettative iniziali, ma non abbastanza da convincere i banchieri. Nessun investitore occidentale avrebbe pagato più di 1500 miliardi. Aramco cancellò il “Road Show” internazionale, e non curandosi dell’occidente, ridimensionò l’IPO dall’iniziale 5% ad 1,5%, ma SOLO SU LISTINO SAUDITA!
L’IPO è diventato così un episodio locale. Potevano investire solo i cittadini Sauditi ed i paesi alleati nell’area del golfo persico, escludendo tutti gli altri investitori delle piazze d’affari internazionali. Questo per le banche è stato un colpo durissimo. Nonostante le avversità nel portare il colosso in borsa, l’ostinata monarchia saudita ha arginato i rischi ed i problemi, abbassando le proprie ambizioni. A fine novembre 2019, chiusero i Book. I bookmaker comunicarono il risultato:“Saudi Aramco vale 1.700 miliardi di dollari, con un prezzo per azione di 32 Riyal”. L’1,5% equivale a 25,6 miliardi di dollari, ben lontani dai 100 sperati, sufficienti però per spodestare AliBaba dal suo trono!