L’Italia e il mercato azionario: storia di imprese e cittadini diffidenti
Perchè gli italiani no si interessano al mercato azionario? Perchè le aziende italiane preferiscono indebistarsi piuttosto che aprire il proprio capitale ad altri investitori? Cercheremo di rispondere a queste domande nelle prossime righe, analizzando la diffidenza per il mercato azionario da parte del sistema-Italia e proponendo delle possibili soluzioni.
La grande dipendenza dalle banche
Il tessuto sociale ed economico italiano è unico: una miriade di piccole e medie imprese, spesso a gestione familiare, rendono l’Italia la seconda forza manifatturiera in Europa. “L’economia dei distretti“, come è stata definita, è stata studiata in tutto il mondo come un ambiente economico particolare.
Se negli anni del boom economico ciò ha permesso al nostro paese di competere con i big mondiali, oggi questo modello è in crisi a causa del perno che ne regge la struttura, le banche e il sistema creditizio. Ed ecco che il mercato azionario e l’apertura del capitale da parte delle aziende possono rappresentare una grande opportunità per l’Italia. Come viene riportato nella Relazione per l’anno 2011 della Consob:
Le piccole e medie imprese non sono in grado di affrontare i costi fissi legati alla quotazione in borsa e al contempo sono restie ad accettare la maggiore trasparenza e lo scrutinio di mercato richiesti dall’ingresso in borsa. E’ ancora troppo debole il ruolo degli investitori istituzionali, in particolare di quelli specializzati nel capitale di rischio, che dovrebbero sostenere le aziende nel loro periodo di crescita. Tutti questi fattori hanno determinato un’elevata dipendenza dal sistema bancario, come unica via di accesso al credito
Nelle considerazioni finali di un’assemblea di Bankitalia, nel 2012, si può leggere:
In Italia il 38% dei prestiti alle aziende ha durata non superiore ai 12 mesi; la quota è del 12% in Germania e in Francia e la media europea si attesta intorno al 24%
Indebitamento e produttività
La necessità di reperire risorse fresche nel medio periodo cozza con il problema dell’indebitamento. Avere numerosi prestiti a breve nelle passività preclude la possibilità di programmare degli investimenti di largo respiro e su un lungo orizzonte temporale: non si investe sull’innovazione e sulla componente tecnologica della produzione. Di conseguenza diminuisce la produttività e la competività delle aziende nel mondo.
Nell’incontro annuale con il mercato azionario di qualche anno fa della Consob, vengono fornite alcune statistiche sulle piccole e medie imprese italiane quotate in borsa:
Le società con capiatlizzazione inferiore a 50 milioni rappresentano il 29% delle società quotate in Italia, a fronte del 68% in Germania e del 53% in Francia e Regno Unito
Nonostante risulti complicato individuare una correlazione tra la bassa produttività del sistema-Italia e la quotazione in borsa dei suoi attori, il dato è abbastanza significativo: quotarsi in borsa significa aprire il proprio capitale ad investitori terzi e quindi avere a disposizione delle risorse da investire. Tutto ciò si trasforma in crescita.
Se nella seconda metà del secolo scorso, l’economia dei distretti permetteva alle aziende italiane di creare economie di scala e di competere con i colossi, oggi non è più così. Per competere a livello globale sono necessari degli investimenti che il sistema bancario da solo non riesce a sostenere. Bisogna dunque far si che le aziende si stacchino da questa forma di finanziamento e guardino verso fonti più moderne e dinamiche.
Gli italiani amano le obbligazioni
Il popolo italiano, si sa, ha una vera e propria passione per le obbligazioni. Grazie agli elevati tassi di interesse, le generazioni passate hanno investito in questo strumento finanziario, percependo un tasso di ricchezza nominale superiore a quella effettiva.
Nell’immagine seguente viene raffigurata l’asset allocation degli italiani e del mondo. Si può notare immediatamente che la propensione all’acquisto di obbligazioni risulta maggiore rispetto alla media degli altri paesi, mentre risulta minore l’investimento nel mercato azionario.
La miopia della classe dirigente italiana ha così prodotto due effetti negativi. Il primo, un alto debito pubblico. Il debito pubblico italiano ha raggiunto livelli monstre, al limite della sopportazione, soprattutto a causa delle politiche dei mitici anni 80. Il secondo effetto negativo riguarda le imprese. Convogliando i risparmi degli italiani verso le obbligazioni, ne ha risentito il mercato azionario e quindi il sistema produttivo.
Eppure, come si può vedere dal grafico in basso, il rendimento delle obbligazioni è molto minore rispetto a quello del mercato azionario. In definitiva, investendo in azioni, non solo il popolo italiano sarebbe stato più ricco, ma anche le aziende ne avrebbero beneficiato.
Nonostante questi dati, una ricerca condotta da Bankitalia nel 2018, dimostra che le cose stanno cambiando:
Oggi la quota dei titoli è al livello minimo da quando sono disponibili statistiche (1950). L’incidenza dei titoli, bassa negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, era successivamente cresciuta, a causa dell’aumento del debito pubblico, passato dal 55% del Pil nel 1980 al 111% nel 1993: i risparmiatori erano così diventati i primi detentori di titoli pubblici, sostituendosi alla detenzione tradizionale da parte delle banche. Oggi la gran parte dei titoli pubblici è detenuta in maniera indiretta tramite fondi pensione e gestioni. In termini assoluti i Bot, Btp CcT eccetera detenuti direttamente (pari a 121 miliardi) sono un terzo di vent’anni fa, quando avevano raggiunto il picco di 363 miliardi, di pari passo con l’aumento del debito
Le strade alternative ai prestiti
Per le aziende, una valida alternativa ai prestiti è rappresentata dall’apertura del capitale. Questa procedura consiste nel quotarsi in borsa o nel far entrare all’interno dell’azienda dei fondi di private equity. In generale si tratta dunque di far entrare all’interno della compagine che amministra l’azienda, uno o più individui, che investono nella stessa.
Come scrive Leonardo Dorini su Econopoly:
spesso le due modalità (Private Equity/Venture Capital e IPO) sono viste come passi successivi di uno stesso piano: si parte con il Fondo, che inizia ad introdurre in azienda la sensibilità necessaria e poi si può ipotizzare l’IPO
Il Private Equity
Il settore del private equity è in grande aumento in Italia e le aziende se ne stano interessando sempre di più. Svolge un ruolo fondamentale in questo senso AIFI, Associazione italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt.
L’AIFI è un’associazione che raccoglie tutti i soggetti che si occupano di private equity e non solo. Nell’immagine seguente, estratta da un suo report, si può notare come la raccolta di capitali sia sempre più significativa nel nostro paese.. Ciò rappresenta una crescente attenzione degli investitori per questi strumenti finanziari:
Nell’immagine in alto si può vedere quante aziende e di quale settore hanno beneficiato del private equity. In generale si può notare una propensione per l’elettronica e le ICT.
Quotazioni e P2P
La quotazione in borsa tramite l’IPO, permette all’azienda di entrare nel mercato azionario. Una volta quotata, saranno gli investitori, in base ai fondamentali dell’azienda e alla sua strategia, a scegliere il giusto apprezzamento del titolo. Acquistando un’azione dell’azienda, l’investitore possiede una piccola parte di essa. Inoltre, in base all’azienda, si vedrà riconosciuto un dividendo in base al numero di azioni possedute.
Non è da sottovalutare il settore del P2P Lending e il crowdfunding:
A metà 2019, i volumi sono quasi raddoppiati, sfiorando l’1,9 miliardi di euro, secondo le rilevazioni di P2P Lending Italia. È stato, il secondo trimestre, un periodo record: 337 milioni di euro il nuovo erogato, in aumento del 97,4% rispetto allo stesso trimestre del 2018 e del 7,6% rispetto al primo trimestre dell’anno in corso.
Questi dati suggeriscono un settore in forte ascesa in Italia, con prospettive rosee e tutte da scoprire.
In conclusione, puntare sul private equity e sulla quotazione in borsa, significa reperire risorse fresche che non vanno a costituire in debito per la società. In questo modo è possibile realizzare gli investimenti necessari per crescere, sacrificando tuttavia èati della leadership aziendale.
Come avvicinare gli italiani al mercato azionario
La reticenza degli italiani, investitori e imprese, verso il mercato azionario, è dovuto a molteplici fattori. Il più influente è sicuramente la scarsa educazione finanziaria. E’ dunque necessario intervenire a livello scolastico per educare i giovani ad una solida cultura in materia di finanza.
Un altro influente fattore è la scarsa chiarezza delle regole e degli organismi che dovrebbero garantirle, oltre che alle dubbie operazioni che vengono svolte. Come scrive A. di Mascio nel libro “Investire con l’analisi fondamentale”:
Il comportamento di alcune socità quotate poco rispettoso degli interessi degli azionisti, la nutrita presenza di scatole cinesi, la natura familiare dei grandi gruppi e del tessuto imprenditoriale nazionale, gli spiacevoli casi registratisi negli ultimi anni, rappresentano solo alcuni dei fattoriche hanno allontanato l’investitore privato dal mercato azionario
Rendere cristalline le operazioni e più chiaro e a portata di tutti il mercato azionario, porterebbe ad un aumeto dell’appeal per questo settore.