Articolo a cura di Marta Contu
Ad aggravare una situazione già di per sé precaria si è aggiunta anche una pandemia globale che non sembra lasciar presagire nulla di buono sul fronte occupazionale giovanile.
Come prevedibile, l’avvento del Covid-19 lascerà dietro sé strascichi su tutti i settori, nessuno escluso, soprattutto quello lavorativo. E a risentirne saranno, ancora una volta le giovani generazioni, alle prese già con una situazione pre-pandemia difficile.
Stando all’ultimo rapporto ISTAT, il tasso di disoccupazione giovanile rilevato nel mese di settembre è pari al 29,7% registrando una riduzione di 1,7 punti rispetto al mese precedente. Questa diminuzione però, non dipende da un aumento dell’occupazione, ma da un’aumento della cosiddetta “inattività”.
Il tasso di disoccupazione infatti, presenta un limite importante. Esso non considera i “NEET”, acronimo di Not in Education, Employment or Training, ossia coloro i quali non lavorano, non sono alla ricerca di un’occupazione e non studiano. Gli inattivi insomma.
Pertanto, il dato fornito non è chiaramente rappresentativo della difficile situazione lavorativa giovanile.
Secondo i dati dell’OECD aggiornati al 2019, per la fascia d’età che va dai 15 ai 29 anni, la percentuale di NEET in Italia è pari al 23,67%. Il dato peggiore in Europa, dove la media si attesta intorno 12,75%.
Come possiamo osservare dal grafico, malgrado i segni di miglioramento, il tasso di inattivi nel nostro Paese, continua a rimanere elevato, soprattutto alla luce dei dati europei.
La ricerca condotta dall’Unicef nel 2019, “Il silenzio dei NEET. Giovani in bilico tra paura e desiderio”, ha cercato di riassumere ed individuare le caratteristiche comuni di questo fenomeno. È emerso un profilo altamente eterogeneo. Eterogeneità segnata in primis dalla fascia d’età considerata (15-29 anni), dal titolo di studio posseduto e dall’appartenenza a determinate Regioni.
Il 49% dei NEET è in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, il 40% possiede un titolo di istruzione più basso, mentre il restante 11% è in possesso di un titolo di laurea.
I NEET si concentrano maggiormente al sud, con una percentuale pari al 34%, al centro arrivano al 19,5% e infine al nord si attestano intorno al 15,5%.
Come esposto nelle righe precedenti, la situazione ante Covid non era affatto incoraggiante. Gli effetti sul mercato occupazionale in generale, e giovanile nello specifico, purtroppo ad oggi non possono essere ancora compresi e studiati in maniera completa.
Negli anni, l’Italia insieme all’Unione Europea hanno provato a mettere in atto dei piani che cercassero di creare un percorso lavorativo post-studi attraverso l’istituzione di forme di tirocinio e/o apprendistato giovanile, finalizzate poi ad un’eventuale assunzione del giovane presso l’azienda.
Un programma specificamente previsto per i NEET è quello proposto dal Piano Garanzia Giovani. Un Piano che ha fatto il suo ingresso nel 2014 con 1,5 miliardi di euro messi sul piatto. Questo programma prevede l’attivazione di tirocini e forme di apprendistato professionalizzante e dei bonus riconosciuti alle aziende in caso di assunzione del giovane. Al lavoratore verrà corrisposto un “rimborso spese” solitamente non inferiore ai 500 euro dei quali una parte è coperta dai fondi regionali e una parte dal datore di lavoro.
Partiamo prima di tutto da un dato: al momento della sua entrata in vigore, il tasso dei NEET in Italia era pari al 27,71%.
Stando alla relazione pubblicata da Starnet nel marzo del 2020 “il tasso di inserimento dei giovani presi in carico arriva al 52,5% alla distanza di 6 mesi dalla conclusione dell’intervento. Tale tasso varia molto per caratteristiche individuali, come il livello di istruzione (scende a 44,1% tra chi ha licenza media) e di profiling (arriva solo al 39% per il livello alto), ma anche per livello territoriale (legato alle opportunità̀ di lavoro e alla qualità̀ dei servizi offerti). Rispetto al contratto, circa uno su tre è a tempo indeterminato (34,5%), il 23,4% ha un contratto a tempo determinato e il 38,6% di apprendistato, il resto rientra in forme residue.”
Sempre secondo la relazione, però, l’entrata in vigore del Piano Garanzia Giovani ha rallentato il fenomeno ma non migliorato, in quanto il rallentamento è dovuto anche all’uscita dalla fase più acuta della crisi e alla generale ripresa dell’occupazione.
Tra i limiti emersi dallo studio ne emergono due su tutti: comunicazione e aspettative mal riposte e le inefficienze della presa in carico. Non si è stati in grado di avviare dei percorsi personalizzati da parte dei centri di impiego, i ragazzi più vulnerabili (quelli con una formazione inadeguata, esperienze lavorative assenti etc) non sono stati raggiunti da politiche attive. Difatti, non appena il portale di Garanzia Giovani ha iniziato a funzionare la maggior parte delle richieste pervenute veniva da giovani neodiplomati o neolaureati.
L’utilizzo dei tirocini extracurriculari è stata la forma di “assunzione” più utilizzata in Italia rispetto al resto d’Europa. I tirocini, concepiti come una formazione attiva sul luogo di lavoro in vista di una possibile assunzione stabile all’interno dell’azienda, spesso sono stati delle brevi parentesi lavorative attivate per far fronte a carenze di organico in determinati periodi dell’anno.
Come sottolineato nella parte introduttiva di questo articolo, nonostante l’allentamento della crisi occupazionale registratasi a partire dal 2014, ci si avvia verso una recessione in tutto il mondo, data dalla pandemia che ci tiene nella morsa ormai da 10 mesi.
Pertanto, si renderanno necessarie delle misure ancor più mirate all’inserimento dei giovani nel mondo lavorativo, evitando e migliorando tutti gli errori che ci portiamo dietro dai tempi passati. Giovani non si sentono ascoltati, rappresentati e capiti dalle Istituzioni. Spesso vengono rivolte belle parole nei confronti delle giovani popolazioni ma ancor più spesso queste parole non vengono seguite da azioni concrete.