Tutti pazzi per il mercato. Sembra esser diventato un nuovo trend acquistare azioni in borsa senza avere solide conoscenze per navigare diritti senza incontrare forti tempeste. I casi Gamestop e Dogecoin rappresentano il vessillo cucito sulla stoffa dei consumatori retail, incantati dalla tendenza di ottenere un profitto dall’acquisto di massa di assets e dal conseguente aumento del prezzo che ne scaturisce. Se è però vero che il collante che lega gli investitori, istituzionali ed non istituzionali, siano proprio le aspettative sulla tendenza dei mercati finanziari, lasciarsi cullare da distorsioni forzate come quelle precedentemente illustrate, nel lungo periodo, può comportare effetti ambigui e poco deduttivi. Diventa quindi interessante andare ad indagare come e se l’inconsapevolezza dell’individuo sulle strategie da intraprendere possa risultare, in un certo senso, conveniente.
Uno studio condotto nel 2013 dal dipartimento di Fisica e Astronomia, dal dipartimento di Economia e Impresa dell’università degli studi di Catania e dall’ETH di Zurigo, ha tentato di mettere a confronto due situazioni antitetiche: nel primo caso il fattore dominante è la casualità/randomness dall’azione, nel secondo entra in scena l’analisi predittiva. L’obiettivo del report, perfettamente applicabile al contesto da noi vissuto negli ultimi mesi, è quello di stabilire se si possa beneficiare di risultati e performance più elevate da investimenti casuali – privi di strumenti conoscitivi o dati alla mano – o da investimenti condotti con pregressa formazione finanziaria ed applicazione dell’analisi quantitativa. Da un lato prevale lo “spirito animale” più volte citato da Keynes, rappresentante la psicologia di massa, mentre dall’altro entra in gioco il ruolo professionale di operatori che interpretano le fluttuazioni del mercato per applicare la migliore strategia possibile.
Il punto è questo: indipendentemente dalla mole di dati e dal livello di predictability usato, non si è mai esenti da errori, in quanto non esistono (teoricamente) meccanismi efficienti che premino una strategia rispetto ad un’altra; i motivi possono derivare dalla dinamicità del contesto, dal ruolo delle aspettative e dalle vicende socio-economiche che delineano le realtà nazionali. Consci del fatto che l’intero sistema finanziario non può essere ridotto ai minimi termini, nemmeno dal miglior trader del pianeta, è utile chiedersi se l’impossibilità di conoscere perfettamente il mercato possa offrire migliori possibilità man mano che il livello di conoscenza e formazione finanziaria diminuisce?
Il documento illustra una simulazione che si avvale di diversi approcci messi a confronto: Momentum, MACD, RSI, UPD(Up and down persistency strategy) e infine un tipo casuale di strategia. Secondo la teoria delle aspettative razionali, non vi sarebbe partita, in quanto l’utilizzo di uno dei 4 modelli sopracitati batterebbe per performance l’approccio stocastico e irrazionale, qualità che tipicamente caratterizza un individuo non avvezzo. Lo studio si avvale delle serie storiche di quattro popolari indici azionari, sottolineando che si riferiscono a date temporali non coincidenti, ma vicine:
Per ogni serie storica, l’obiettivo era calcolare la percentuale di vincita per ogni strategia applicata agli indici, tentando di prevedere per ogni periodo il valore al rialzo o a ribasso I che avrebbero assunto al tempo t+1 e decretare di conseguenza la scelta migliore, compresa quella con componente randomica.
Ecco qui presentato il risultato finale della simulazione, il cui approfondimento analitico è rimandato alle fonti citate:
La figura evidenzia dei risultati particolari, senza dubbio inattesi; in primo luogo, le distribuzioni sono perlopiù omogenee, indicando quindi una percentuale di vincita media che oscilla intorno al 50%; è poi facilmente determinabile, per ciascun indice considerato, quella che sarebbe la migliore strategia di trading da intraprendere (per il DAX, sarebbe opportuno ad esempio una strategia RSI). In secondo luogo, è interessante osservare come la strategia randomizzata sia quella in cui sussistono meno oscillazioni nel lungo termine a parità di performance, che in media sembrano risultare simili per tutte le strategie utilizzate.
Ciò indica un livello di rischio minore, a detta invece di chi riterrebbe che strategie non tradizionali comportino perdite superiori. Il che non è del tutto falso, se si tiene in conto che tipici risultati possano derivare da effetti distorsivi e che invece, predisponendosi di strategie ad hoc per “battere il mercato”, si possano ottenere performance di altro livello.
Lo studio ha quindi tentato di spiegare come strategie randomizzate, possano in media risultare più efficienti dei metodi classici, se si considera un periodo di tempo non troppo ristretto. Risultato confermato da un rischio di volatilità inferiore per quel lasso di tempo che, se si considerano le performance da ambo ai lati e i risultati che si vogliono ottenere, si potrebbe pensare di operare controcorrente, prendendo in considerazione caso per caso.