Costo della vita: Tel Aviv è al primo posto secondo Economist
L’indice del costo della vita rappresenta un parametro importantissimo per comprendere e misurare le variazioni sul costo della vita tra i Paesi e nel tempo. Per questo EIU, la divisione di ricerca di The Economist Group, fornisce ogni anno la Worldwide cost of living sulla base dei dati raccolti. Facciamo un primo piano della lista di quest’anno, analizzando la sua struttura e le possibili funzioni pratiche per le aziende.
Economist Intelligence Unit
L’EIU o Economist Intelligence Unit è il più importante fornitore di informazioni economiche sui Paesi. Nasce dall’Economist Group, la media company inglese titolare del celebre settimanale The Economist, sulla politica economica mondiale; nonostante le origini, mantiene solida la propria indipendenza da altri giornali, governi e interessi privati di vario genere. Da più di 50 anni svolge attività di indagine dei dati finanziari e di analisi sull’andamento generale dell’inflazione, fenomeno ormai in costante crescita.
Negli ultimi 5 anni si è infatti riscontrato il più rapido aumento del livello medio generale dei prezzi, con il 3,5%. L’anno scorso, l’inflazione era appena all’1,9% mentre nel 2019 ha toccato il 2,8%. Tra i settori più colpiti vi sono quello dei trasporti e della cura personale; anche il mercato del tabacco mostra i segni dell’inflazione, con un significativo aumento del costo dei pacchetti di sigarette.
La classifica di Economist
Con la sua Worldwide Cost of Living 2021, l’indagine sul costo della vita mondiale prodotta dalla divisione Executive Development and Data, Economist ha stilato la sua lista sugli indici del costo della vita in tutto il mondo. La tabella mostra i risultati di 173 città, riportati in riferimento a svariati beni economici ed eventi globali di forte impatto quali il lockdown causato dalla pandemia.
Quest’anno il primo posto è ricoperto dalla città israeliana di Tel Aviv, che diventa così ufficialmente la città più cara del mondo; seguono a parità di risultati Parigi (in cima nella classifica dello scorso anno) e Singapore, poi Zurigo. Hong Kong e New York occupano rispettivamente la quarta e la quinta posizione, ma se anche il valore immobiliare fosse stato considerato nell’analisi, le due metropoli sarebbero certamente in testa. Terminano la top ten le città di Ginevra, Copenhagen, Los Angeles e Osaka.
In Italia, Roma ha registrato un forte calo del costo della vita. La capitale è infatti slittata dalla trentaduesima alla quarantottesima posizione, dove i settori che più hanno determinato questa discesa sono stati i generi alimentari e l’abbigliamento. Anche numerose città americane hanno perso punti, in seguito alla manovra del governo statunitense di immettere denaro nel mercato, come ripresa alla crisi pandemica. In fondo alla lista troviamo Damasco, la capitale siriana, anche a causa della guerra civile, si riconferma la città meno costosa.
Come si calcola l’indice del costo della vita
L’indice generale del costo della vita è rappresentato da una base di 100, che sarà rapportata con l’indice del città di destinazione. Ciò significa che una città con un indice di 120 sarà il 20% più cara rispetto alla base di riferimento; viceversa una città con un indice di 80 sarà il 20% meno cara. L’indice mira quindi a stabilire la differenza del costo della vita fra due città, ma come viene calcolato esattamente?
La formula prevede una media aritmetica dei livelli dei prezzi nelle due città, calcolando prima il prezzo medio per i singoli beni considerati e confrontandolo poi con i prezzi nelle città. In questo modo il rapporto rimane invariato. L’indice tiene anche conto dell’importanza dei beni, attribuendo maggior peso a un’auto rispetto a un panino ad esempio; il valore di questo peso è stabilito in una tabella che individua 10 categorie di beni e a ciascuna di esse attribuisce un “valore di importanza” definito in percentuale: trasporti (19,5%), tabacco (2,5%) e capi d’abbigliamento (13%) sono alcuni esempi.
Da chi viene utilizzato
Nel campo pratico, questo indice viene largamente sfruttato dalle grandi aziende con dipendenti dislocati in vari Paesi. In questo modo possono tener conto delle variazioni dei costi della vita nella varie città e modificare di conseguenza la retribuzione dei lavoratori espatriati. Se quindi un dipendente si troverà in una città con un indice di 80, ossia il 20% più basso rispetto al punto di riferimento, l’azienda potrebbe optare per una riduzione del così detto reddito spendibile, ossia la parte della retribuzione attribuita per le spese necessarie alla permanenza in quella città (es: alimenti, trasporti e attività ricreative). Tutto ciò risponde all’esigenza di garantire il diritto del lavoratore espatriato a vivere con gli stessi servizi e le stesse condizioni dei lavoratori non espatriati.