I tassi d’interesse, con decisione del 2 febbraio, vengono nuovamente rivisti al rialzo di mezzo punto percentuale. Pertanto, i tassi d’interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale salgono rispettivamente al 3,00%, al 3,25% e al 2,50%, con effetto dall’8 febbraio 2023.
“La banca centrale continuerà ad aumentare i tassi d’interesse in misura significativa a un ritmo costante e a mantenerli su livelli sufficientemente restrittivi da assicurare un ritorno tempestivo dell’inflazione al suo obiettivo del 2% nel medio termine.”
Comunicato stampa del Consiglio direttivo
Il rischio che si vuole anche monitorare è che le aspettative inflazionistiche si radichino nei comportamenti degli operatori economici e che alla fine siano necessarie azioni antinflazionistiche più drastiche.
“… Mantenere i tassi di interesse su livelli restrittivi farà diminuire nel corso del tempo l’inflazione frenando la domanda e metterà inoltre al riparo dal rischio di un persistente incremento delle aspettative di inflazione”
Comunicato stampa del Consiglio direttivo
Tuttavia, è stato osservato che malgrado gli aumenti degli ultimi mesi, l’Eurotower rimane una delle banche centrali con i tassi di interesse nominali e reali più bassi al mondo.
Le stime preliminari, offerte dall’Istat, evidenziano la netta attenuazione dell’inflazione, che a gennaio si attesta al +10,1%. Il rallentamento è spiegato in primo luogo dall’inversione di tendenza dei Beni energetici regolamentati (-10,9% su base annua). Rimangono tuttavia diffuse le tensioni sui prezzi al consumo di diverse categorie di prodotti, quali gli alimentari lavorati, gli altri beni (durevoli e non durevoli) e i servizi dell’abitazione, che contribuiscono alla lieve accelerazione della componente di fondo. Si accentua inoltre a gennaio la dinamica tendenziale dei prezzi dei carburanti.
“I rischi per le prospettive inflazionistiche sono diventati più equilibrati, soprattutto nel breve periodo”.
Christine Lagarde
Per i rischi al rialzo, “le attuali pressioni a livello di pipeline potrebbero far aumentare i prezzi al dettaglio nel breve termine. Inoltre, una ripresa economica più forte del previsto in Cina potrebbe dare un nuovo impulso ai prezzi delle materie prime e alla domanda estera. Inoltre fattori interni come un persistente aumento delle aspettative di inflazione al di sopra del nostro obiettivo o aumenti salariali superiori al previsto potrebbero far aumentare l’inflazione, anche nel medio termine”.
Per quanto riguarda i rischi al ribasso, “il recente calo dei prezzi dell’energia, se dovesse persistere, potrebbe rallentare l’inflazione piu’ rapidamente del previsto. Questa pressione al ribasso della componente energetica potrebbe poi tradursi anche in una dinamica piu’ debole dell’inflazione di fondo. Un ulteriore indebolimento della domanda contribuirebbe inoltre a ridurre le pressioni sui prezzi rispetto a quanto attualmente previsto, soprattutto nel medio termine”. Lo ha detto la presidente della Bce Christine Lagarde in conferenza stampa a Francoforte.
Un recente articolo di Ben Bernanke, riferito al caso degli Stati Uniti, è molto utile per capire le analogie e le differenze con le dinamiche inflazionistiche degli anni’70. In entrambi i casi, un lungo periodo di stabilità dei prezzi è stato seguito da un’elevata l’inflazione. Un’inflazione trainata sia dalla domanda (la spesa per la guerra del Vietnam, le spese per il Covid oggi) che dall’ offerta (gli shock ai prezzi dei beni energetici e alimentari).
La differenza cruciale è che negli anni ’70 qualsiasi tentativo della FED di alzare i tassi di interesse per combattere l’inflazione incontrava una forte resistenza politica. La causa era imputata agli effetti collaterali negativi per il tasso di crescita dell’economia e dell’occupazione.
In assenza di una politica monetaria che la contrastasse, l’inflazione si radicò nelle aspettative e nei comportamenti di imprese e lavoratori. La conseguenza dell’aver agito con grande ritardo fu una profonda recessione negli Stati Uniti che si propagò rapidamente nel resto del mondo.
A differenza di allora, e forse per via dell’esperienza maturata, oggi la FED (ma lo stesso si può dire della BCE) gode di un elevato grado di indipendenza e ha il consenso necessario per contrastare l’inflazione sin dall’inizio. Questo fa sì che le aspettative inflazionistiche per famiglie e imprese rimangano sostanzialmente ancorate al livello desiderato dalle banche centrali (in prossimità del 2 per cento).
Un’altra importante differenza tra gli anni ’70 e oggi riguarda il dibattitto sulle cause dell’inflazione. Negli anni ’70, la convinzione diffusa era che, essendo l’inflazione generata principalmente dal lato dell’offerta, non potesse essere combattuta tramite una politica monetaria restrittiva.
Nel corso del tempo, tuttavia, è prevalsa la convinzione che la politica monetaria debba agire tempestivamente riducendo la domanda al livello compatibile con la minore offerta e per evitare che si destabilizzino le aspettative inflazionistiche.
“I governi non imparano mai. Solo la gente impara.”
Milton Friedman