Home » Economia » Moltiplicatore fiscale: l’oppio dei popoli

Moltiplicatore fiscale: l’oppio dei popoli

Categorie e-Learning · Economia
Vuoi leggere tutti gli articoli del network (oltre 10.000) senza pubblicità?
ABBONATI A 0,96€/SETTIMANA

Ogni giorno, sfogliando il giornale del settore economico e finanziario, si può notare come qualche teoretico citi il moltiplicatore fiscale. Così come un grande esercito templare che va alla ricerca del Sacro Graal, sempre più teorici e giornalisti hanno idealizzato questo strumento, pensando che sia l’unica ancora di salvezza. 

Un po’ come volersi riparare da un uragano con un ombrello. Ma rinfreschiamo un po’ le idee e vediamo perché il moltiplicatore fiscale non è altro che l’ennesimo “oppio dei popoli

Moltiplicatore fiscale: cos’è?

Come abbiamo visto precedentemente, il moltiplicatore fiscale è il rapporto tra una variazione del reddito nazionale e il cambiamento nella spesa pubblica che la causa.

A intuire l’esistenza di un effetto moltiplicatore fu inizialmente uno studente di Keynes, Richard Kahn che nel 1931 pubblicò le sue ricerche a riguardo.

In generale, il moltiplicatore di spesa esogeno è il rapporto tra una variazione del reddito nazionale e un qualsiasi cambiamento autonomo della spesa (spesa per investimenti privati, spesa dei consumatori, spesa pubblica o spesa degli stranieri sulle esportazioni del paese) che lo causa.

Diverse scuole di pensiero rifiutano o minimizzano l’importanze degli effetti moltiplicatori, in particolare quando si considera il lungo periodo. Tale effetto è stato utilizzato come argomentazione per l’efficacia della spesa pubblica o l’agevolazione fiscale per stimolare la domanda aggregata.

Confusione sul moltiplicatore fiscale

Da anni ormai, i governi che si succedono non fanno altro che aumentare la spesa pubblica in una serie di misure assistenzialistiche che non stimolano assolutamente ed in alcun modo la produttività del Paese. L’idea è quella di spendere in questa maniera, ovvero trasferendo da redditi futuri (attraverso il debito) nelle tasche di pensionati o chi ha perso il lavoro e per farlo bisogna far crescere il debito nazionale.

Secondo le teorie odierne diffuse, purtroppo in Italia, questo tipo di spesa addizionale non farà altro che aumentare il reddito nazionale. In poche parole, se in un determinato anno la spesa pubblica aumenta di 1 miliardo di euro, ci aspetta che l’anno prossimo il reddito annuale aumenterà di 1 miliardo e qualcosina in più.

I dati empirici sul moltiplicatore fiscale

I dati empirici parlano di un moltiplicatore che in casi di interventi precedentemente descritti ha uno dei valori più bassi in assoluto mentre per avere dei risultati soddisfacenti bisognerebbe fare interventi pubblici che stimolano la produttività di un Paese. 

Solo in alcuni casi eccezionali, il moltiplicatore supera l’1 ed il più delle volte è inferiore all’unità. Questo dimostra che un aumento del debito non finisce per autoripagarsi e di conseguenza non può ridurre il rapporto debito/PIL. Il PIL, in queste condizioni, non può aumentare più che proporzionalmente.

moltiplicatore fiscale
Fonte: IMF

La logica che vi è dietro al moltiplicatore è che nelle spese di consumatori e aziende su consumi ed investimenti, ci sono due compontenti:

  • una che dipende dal reddito che questi ottengono o ricevono;
  • un’altra che è autonoma ovvero che spenderebbero comunque.

Se quest’ultima viene isolata, si mostra che l’equazione che determina la quantità di contabilità nazionale che determina il reddito si ha che il reddito nazionale è uguale alla spesa autonoma moltiplicato per un numero che ammonta ad 1/il tasso di risparmio.

In poche parole, se si dovesse convincere tutte le famiglie a spendere tutto quello che hanno, si avrebbe la spesa autonoma moltiplicato per 1/0 ovvero, secondo l’ algebra, corrisponderebbe ad infinito. Ovvero si andrebbe a creare un meccanismo a catena per cui se tutti spendessero immediatamente tutto il reddito si avrebbe un reddito nazionale che cresce all’infinito.

Ma se tutti spendono immediatamente non ci sono gli strumenti di produzione. 

Allora perché Kahn ha teorizzato il moltiplicatore?

C’è un punto-chiave in questa teoria perché si assume che ad ogni dato punto nel tempo, ci sia capacità produttiva totalmente inutilizzata. Questo perché Kahn studiava gli avvenimenti e le conseguenze della Grande Depressione del 1929. Quindi, se per un disastro epocale dovesse crollare un sistema economico e finanziario ma ci sono comunque persone disoccupate capaci di lavorare rimane appunto una grossa capacità produttiva non utilizzata.

Solo in questo caso, se ci dovesse essere un intervento esterno di investimenti questo stimolerebbe la fiducia, creerebbe nuova occupazione ed ulteriore domanda. Di conseguenza il reddito crescerà proporzionalmente.

Ma sono circostanze straordinarie e di certo non nella situazione italiana odierna e gli investimenti non devono riguardare forme di assistenzialismo.

Perché il moltiplicatore ha tanto successo?

La motivazione con tutta probabilità è che il moltiplicatore permette di pensare che ci sia una soluzione semplice a problemi complessi. Chi parla del moltiplicatore tipicamente si rifiuta di parlare di riforme strutturali per aumentare la produttività e propugna il moltiplicatore come soluzione in grado di accontentare tutti senza scontentare nessuno poiché, secondo costoro, “basta spendere di più e poi tutti staremo meglio”.
Purtroppo il mondo è più complesso di così.

Lascia un commento