Spesa pubblica, moltiplicatore keynesiano e babbo Natale che non esiste
Tra i miti più difficili da sfatare in Economia c’è il sempreverde moltiplicatore fiscale o Keynesiano. A questo “strumento” vengono assegnati poteri magici e normalizzarlo agli occhi dei più pare impossibile.
Vediamo qualche approfondimento con questo articolo tratto da un post.
Di Alessio De Padova
Il moltiplicatore keynesiano ha un limite di cui spesso non si discute, ma che è fondamentale: assume che vi siano risorse di capitale e lavoro inutilizzate. Perché?
Credo tutti qui conoscano il concetto di crescita potenziale. In un best case scenario, la crescita fluttua intorno la crescita potenziale (quella che avete calcolato con HP su macro, o politica economica, o boh), se crescesse troppo le autorità monetarie interverrebbero aumentando il tasso di interesse per evitare un surriscaldamento e quindi l’aumento di G comporterebbe solo uno spiazzamento di I (ricordiamo che I è inversamente proporzionale al tasso di interesse, aldilà di quanto sia il coef di sensibilità).
Il moltiplicatore può forse fare un buon lavoro nel sostenere la DA (domanda aggregata) nel breve termine, ma nel lungo fa ben poco per mantenere una crescita stabile. Nel lungo termine, servono riforme.
Serve creare un clima di fiducia dove la gente vuole investire. La spesa pubblica dev’essere un rimedio a quelli che possiamo definire i fallimenti di mercato, non un costante e onnipresente elemento che genera solo debito pubblico. Ricordiamo, applicando il discorso al caso italiano, che prima del covid-19 noi crescevamo (dello zero virgola, ma crescevamo), ma la riduzione del debito non l’abbiamo mai tenuta in considerazione.
Usiamo un modello semplice semplice
Noi assumiamo che dT/dG = 1/(1-c(1-t)) x t.
Il primo termine è semplicemente lo stimolo della spesa pubblica. E’ direttamente proporzionale a c ma inversamente proporzionale a t. Affinché il bilancio sia in equilibrio, questa formula dev’essere uguale a 1. Può accadere solo in due casi: o tutto il reddito viene speso o tutto il reddito viene tassato. Me cojoni, direte voi. Una cosa assurda. Infatti lo è. Questo significa che il governo può decidere o di sostenere i consumi e vedere i propri current accounts deteriorare o può tassare ogni cosa e quindi tutto un cazzo.
Ovviamente, direte voi, l’impatto sul PIL potrebbe essere così elevato da superare quello del Debito e migliorare quindi il rapporto debito/pil. Anche qui, forse nel breve termine. Nel lungo termine il deficit generato porterà sempre più in alto il debito e spiazzerà totalmente l’effetto della crescita del PIL. Motivo per cui un keynesiano che si dimostrasse tale direbbe che nei periodi di crescita il debito andrebbe ridotto e SOPRATTUTTO lo spread sarebbe il maggior nemico. E come si riduce lo spread? Generando fiducia. Come si genera fiducia? Con le riforme e con un piano di crescita seria, giocando un ruolo decisivo in Europa senza chiagnere e fottere.
Come potremmo applicare ciò a quanto viviamo ora? Il debito pubblico dovrà aumentare, lo farà. Il recovery fund e il MES ci permetteranno di ottenere risorse a tassi di interesse esigui. Ma la priorità dev’essere un piano di crescita serio e una totale rielaborazione delle spesa pubblica (indirizzandola laddove serve davvero). Si parla di buon senso. Ed è questo buon senso che, Conte dovrebbe capire, ci permetterà di non portarci addosso lo stigma di un popolo di coglioni, non rifiutare il MES. Rifiutare il MES è da fottuti idioti.